Blue whale e autolesionismo
È un argomento attuale anche in Italia il fenomeno del blue whale: un gioco da social network in cui un tutor chiede a chi decide di partecipare di autoinfliggersi violenze, documentandole con foto e video. Infine, come le balene si spiaggiano, ai giocatori è richiesto di suicidarsi. Paradossalmente, questa storia ha un merito: aver messo in primo piano un fenomeno di cui si fa molta fatica a parlare, cioè l’ autolesionismo adolescenziale che, secondo i dati dell’Osservatorio Adolescenza, riguardano due teenagers su 10.
Che cos’è l’autolesionismo?
I ragazzi compiono contro loro stessi gesti di violenza, per esempio ferendosi con lame o procurandosi ustioni. Passano lunghe ore in rete per trovare informazioni tecniche su come farsi del male, ma anche per incontrare altri teenagers con cui condividere questa esperienza. Gli atti di autolesionismo posso iniziare già a 10-12 anni di età, età in cui la ricerca di novità e l’eccitazione aumenta drasticamente e si combina con una scarsa capacità di autoregolazione. Un terreno psicologico fertile per le condotte che prendono di mira il corpo.
Chi lo fa è perché?
L’ autolesionismo tende a essere vissuto in maniera nascosta, perciò è difficile sapere quanti siano i soggetti interessati. Spesso, poi, le famiglie non ne parlano per vergogna. I maschi sembrano essere in minoranza, ma forse solo perché le ragazze sono più disposte ad aprirsi e confessare.
Quali sono i motivi?
La violenza contro se stessi ha una funzione sedativa: i giovanissimi decidono di soffrire fisicamente per far fronte a uno stato d’animo doloroso, (abbandono, tradimento, fallimento) per il quale non hanno altri strumenti a disposizione. In presenza di ferite, infatti, il sistema nervoso rilascia endorfine, che in primis calmano il dolore fisico, poi placano la mente innescando un senso di benessere ed euforia. I ragazzi più grandi, che hanno iniziato da piccoli per superare un disagio, continuano a farlo perché per loro è diventato un modo per provare un piacere perverso e irrinunciabile: ogni atto doloroso può diventare piacevole quando è ripetuto un certo numero di volte.
Quando allarmarsi ?
Bisogna fare attenzione ai segnali di disagio: cambiamenti improvvisi del tono dell’umore con accessi di rabbia o tristezza segnalano che i ragazzi vivono una forte emozione negativa e perciò potrebbero ricorrere a queste pratiche. Una volta procurate le lesioni, si vestono coprendosi accuratamente polsi, braccia e gambe, persino in estate, e dormono meno a causa dell’ eccitazione da endorfine. L’altro campanello d’ allarme è la tendenza all’isolamento: per compiere il rituale servono concentrazione, tempo e privacy.
Come reagire?
Una volta appurato che il ragazzo si fa del male, non bisogna lasciarsi prendere dal panico confondendo l’autolesionismo con i tentativi di suicidio. Il suicida vuole togliersi la vita per azzerare le sensazioni e il pensiero mentre l’autolesionismo mira a risolvere il suo disagio e vivere meglio. Bisogna perciò chiedere aiuto a uno specialista esperto di questo fenomeno, che sappia inquadrarlo esattamente. Oltre alla terapia breve strategica anche quello cognitivo comportamentale hanno buoni protocolli di intervento così come la Schema Therapy.