Serendipity360

Abbi cura del tuo corpo

diagnosi e terapiaMorbo di Parkinson: sintomiSALUTE

Morbo di Parkinson: sintomi, diagnosi e terapia

Please follow and like us:
Pin Share

 

 

 




 

Il morbo di Parkinson fu descritto per la prima volta da James Parkinson nel 1817. Il morbo di Parkinson è un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente da degenerazione di alcune cellule nervose (neuroni) situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, cioè una sostanza chimica che trasmette messaggi a neuroni in altre zone del cervello.

Il neurotrasmettitore in questione, chiamato dopamina, è responsabile dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento. Con la riduzione di almeno il 50% dei neuroni dopaminergici viene a mancare un’adeguata stimolazione dei recettori, cioè delle stazioni di arrivo. Questi recettori sono situati in una zona del cervello chiamata striato. I neuroni dopaminergici della sostanza nera, sofferenti, osservate al microscopio, mostrano al loro interno corpuscoli sferici denominati corpi di Lewy composti prevalentemente da alfa-sinucleina, che sono considerati una caratteristica specifica del morbo di Parkinson e che fa rientrare questa malattia nel più ampio gruppo delle sinucleinopatie . Queste si differenziano a seconda delle zone interessate dai corpi di Lewy e possono variare da un esteso interessamento della corteccia (demenza), un interessamento specifico di sostanza nera e locus ceruleus (morbo di Parkinson) o di sistemi nervosi che innervano i visceri (atrofia multisistemica con compromissione del sistema nervoso autonomo).



Epidemiologia

Il morbo di Parkinson si riscontra più o meno nella stessa percentuale nei due sessi ed è presente in tutto il mondo. I sintomi possono comparire a qualsiasi età anche se un esordio prima dei 40 anni è insolito e prima dei 20 estremamente raro. Nella maggioranza dei casi i primi sintomi si notano intorno ai 60 anni.

Come si manifesta il morbo di Parkinson?

 

Il morbo di Parkinson è caratterizzato da tre sintomi classici:

  • tremore
  • rigidità
  • lentezza dei movimenti (bradicinesia)

ai quali si associano:

  • disturbi di equilibrio
  • atteggiamento curvo 
  • impaccio all’andatura

e molti altri sintomi definiti secondari perché sono meno specifici e non sono determinanti per porre una diagnosi.

All’inizio i pazienti riferiscono una sensazione di debolezza, di impaccio nell’esecuzione dei movimenti consueti, che riescono a compiere stancandosi però più facilmente, in genere non si associa una sensazione di perdita di forza muscolare. Ci si accorge poi una maggiore difficoltà a cominciare e a portare a termine i movimenti alla stessa velocità di prima, come se il braccio interessato, o la gamba, fossero “legati”, rigidi. La sensazione di essere più lenti e impacciati nei movimenti è la caratteristica per cui più frequentemente viene richiesto il consulto medico insieme all’atro sintomo principale, tipicamente associato a questa malattia e anche il più evidente: il tremore. Esso è  spesso tra i primi sintomi riferiti della malattia; di solito è visibile alle mani, per lo più esordisce solo da un solo lato e può interessare l’una o l’altra mano. Il tremore tipico si definisce di riposo, si manifesta, ad esempio, quando la mano è abbandonata in grembo oppure lasciata pendere lungo il corpo. Non è però un sintomo indispensabile per la diagnosi di Parkinson, infatti non tutti malati di Parkinson sperimentano tremore nella loro storia; d’altra parte non tutti i tremori identificano una malattia di Parkinson.



Sintomi principali:

Sintomi principali del morbo di Parkinson:

 

  • Tremore:oscillazione lenta (5-6 volte al secondo) con un atteggiamento, delle mani, come di chi conta cartamoneta. Generalmente inizia in una mano e dopo un tempo variabile coinvolge anche l’altro lato; possono tremare anche i piedi. Il tremore è presente a riposo e si riduce o scompare appena si esegue un movimento finalizzato, ad esempio sollevare un bicchiere per bere. Un altro tipo di tremore è il “tremore interno“; questa sensazione è avvertita dal paziente ma non è visibile all’esterno.
  • Lentezza dei movimenti (bradicinesia): impaccio nei movimenti che determina un rallentamento nell’esecuzione dei gesti. Si evidenzia facendo compiere al soggetto dei movimenti di fine manualità che risultano più impacciati, meno ampi e più rapidamente esauribili per cui, con la ripetizione, diventano quasi impercettibili. Segno di bradicinesia sono anche le difficoltà nei passaggi da una posizione all’altra, ad esempio scendere dall’automobile, girarsi nel letto o anche nel vestirsi. Conseguenza di bradicinesia sono anche la ridotta espressività del volto dovuta ad una riduzione della mimica spontanea che normalmente accompagna le variazioni di stato d’animo e anche una modificazione della grafia che diventa piccola (micrografia).
  • Rigidità: è un termine che sta ad indicare un aumento del tono muscolare a riposo o durante il movimento. Può essere presente agli arti, al collo e al tronco.
  • Disturbo del cammino: dapprima si nota una diminuzione del movimento di accompagnamento delle braccia, più accentuato da un lato, successivamente i passi possono farsi più brevi, talvolta si presenta quella che viene chiamata “festinazione”, cioè il paziente piega il busto in avanti e tende ad accelerare il passo come se inseguisse il proprio baricentro. Negli stadi avanzati della malattia possono verificarsi episodi di blocco motorio improvviso (“freezing” come un congelamento delle gambe) in cui i piedi sembrano incollati al pavimento. Il fenomeno di solito si verifica nelle strettoie oppure all’ inizio della marcia o nei cambi di direzione​.
  • Postura: l’alterazione della postura determina un atteggiamento curvo:il malato si pone come “ripiegato” su se stesso per cui il tronco è flesso in avanti, le braccia mantenute vicino al tronco e piegate, le ginocchia pure mantenute piegate. Questo atteggiamento, dovuto al sommarsi di bradicinesia e rigidità, è correggibile con i farmaci. Con l’avanzare della malattia si instaura una curvatura del collo e della schiena, che può diventare definitiva.
  • Disturbi di equilibrio: si presentano più tardivamente nel corso della malattia; sono indubbiamente i sintomi meno favorevoli. Il disturbo dell’equilibrio è essenzialmente dovuto ad una riduzione dei riflessi di raddrizzamento per cui il soggetto non è più in grado di correggere spontaneamente eventuali squilibri. L’incapacità a mantenere una postura eretta e a correggere le variazioni di equilibrio può provocare cadute che possono avvenire in tutte le direzioni anche se, più frequentemente, il paziente tende a cadere in avanti. Il sintomo risponde solo limitatamente alla terapia.

Sintomi secondari

 

Accanto ai sintomi principali possono presentarsi altri disturbi conosciuti come sintomi secondari:

  • Linguaggio: i disturbi del linguaggio sono abbastanza frequenti nel morbo di Parkinson. La voce inizialmente si presenta più flebile e può esserci una perdita di tonalità e di modulazione così che il paziente appare monotono nell’esposizione. Altra caratteristica è la tendenza ad accelerare l’emissione dei suoni e a “mangiarsi” le parole e in alcuni casi si verifica anche balbuzie. La  riabilitazione può dare buoni risultati.
  • Deglutizione: i problemi legati alla deglutizione possono manifestarsi tardivamente nel corso della malattia. Questa difficoltà può manifestarsi sia con i liquidi che con i solidi ma è riferita con maggior frequenza verso i liquidi.
  • Eccessiva presenza di saliva in bocca: è correlata al problema della deglutizione perché la saliva può fermarsi in bocca essendo ridotto il movimento automatico di deglutizione. In questo modo la saliva si accumula; di conseguenza la perdita di saliva è legata ad una ridotta deglutizione e non a un aumento della produzione di saliva.
  • Seborrea: è un disturbo comune a molte persone e può essere accentuato in questa malattia. La pelle si presenta untuosa e talvolta arrossata, particolarmente sulla fronte e sul cuoio capelluto. Il fenomeno può essere accompagnato da prurito.
  • Gonfiore di piedi e caviglie: è un altro problema che si riscontra comunemente nella popolazione generale e che è frequente nella malattia di Parkinson. E’ probabilmente la conseguenza di un accumulo di liquidi nelle parti basse del corpo causata da una riduzione del movimento e quindi da minore attività della muscolatura delle gambe. Va considerata anche la possibilità che sia di origine farmacologica (è un effetto collaterale noto dei dopaminoagonisti).
  • Perdita di peso: una perdita di peso, anche considerevole, può essere presente nel morbo di Parkinson. In assenza di altre cause, che peraltro vanno sempre ricercate, può facilmente essere spiegata se si considera nell’ordine, la difficoltà alla deglutizione, una maggiore lentezza a consumare il pasto, una tendenza alla stipsi o un eccesso di movimento causato prevalentemente da discinesie.
  • Stipsi: nel morbo di Parkinson la funzionalità intestinale può essere rallentata e i farmaci utilizzati per il trattamento della malattia possono aggravare questo problema. Si possono manifestare gonfiore e distensione addominale, possono essere presenti nausea e vomito che si riscontrano perlopiù come effetto collaterale del trattamento farmacologico specialmente nelle fasi iniziali e che si risolvono spontaneamente.
  • Disturbi urinari: c’è spesso un aumento della frequenza minzionale (necessità di urinare spesso) sia perché la vescica non si svuota completamente ogni volta, sia perché viene avvertito lo stimolo ad urinare anche quando la vescica non è ancora piena.
  • Disfunzioni sessuali: il desiderio sessuale (libido) può ridursi nella malattia di Parkinson; in alcuni casi ciò è dovuto a complessi meccanismi psicologici, in altri a un meccanismo neurochimico diretto della malattia. Il trattamento farmacologico di solito migliora la libido e anzi, a volte, la  esagera, il che può ugualmente essere fastidioso. Problemi fisici, in particolare negli uomini, quali difficoltà a raggiungere l’erezione o impossibilità a mantenerla (impotenza), possono talvolta far parte del quadro clinico della malattia.
  • Dolori e distonie: possono far parte del morbo di Parkinson. A volte i pazienti lamentano formicolii agli arti o sensazione di arto “addormentato” e ciò può essere legato ad altre ragioni (ad esempio compromissione di tronchi nervosi causa di alterazioni artrosiche). Talvolta nel decorso della malattia possono presentarsi crampi e contratture muscolari, in modo particolare ai piedi e alle gambe. Questi disturbi vengono definiti “crampi distonici”.
  • Sudorazione: la sudorazione è da imputare a quella parte del sistema nervoso, detto  sistema nervoso autonomo, che controlla le funzioni automatiche. La parte superiore del corpo è generalmente la più coinvolta e spesso l’eccesso di sudorazione si presenta quando l’effetto del farmaco si sta esaurendo.

Umore e comportamento

Possono manifestarsi anche variazioni del comportamento dell’umore in una percentuale variabile di soggetti: le più comuni sono le seguenti:

  • Depressione e ansia: si riscontrano in circa la metà dei pazienti. Qualche volta possono presentarsi come sintomi di esordio della malattia e in un numero molto ristretto di casi può iniziare con un attacco di panico. Un umore depresso può essere legato a una reazione negativa conseguenza della diagnosi di malattia, ma più spesso è il risultato della riduzione di alcune sostanze neurochimiche correlate alla dopamina (noradrenalina e serotonina) che sono coinvolte nella regolazione dell’umore.
  • Disturbi del sonno: nella malattia di Parkinson il ciclo sonno-veglia può essere alterato e spesso i pazienti si addormentano con facilità, ma si svegliano spesso durante la notte. Più problematico si presenta un paziente che tende ad addormentarsi durante il giorno e non riesce a prendere sonno di notte invertendo così normale ritmo sonno-veglia. Alcuni pazienti sperimentano sogni particolarmente realistici (di solito indotti da un eccesso di terapia antiparkinson) e durante il sonno parlano e gesticolano.
  • Demenza, perdita di memoria e confusione: problemi di memoria e altri aspetti della funzione cognitiva (attenzione e concentrazione) si rilevano nel 40 50% dei pazienti con Parkinson, soprattutto allo stadio avanzato della malattia e in quelli anziani.
  • Allucinazioni e psicosi:un eccesso di terapia antiparkinson può indurre disturbi della percezione con allucinazioni (vedere che sono cose che non sono reali). Le allucinazioni sono solitamente visive, raramente uditive. Possono anche comparire deliri (idee fisse erronee).




Diagnosi

Visita neurologica: è il primo contatto tra il  medico e il  paziente ed è un momento molto importante al fine di porre una diagnosi corretta. La visita viene organizzata seguendo degli standard riconosciuti, impostati secondo le linee guida internazionali. Si prevedono diversi momenti:

  • la raccolta dell’anamnesi in cui si viene a conoscere la storia del paziente e della famiglia da cui proviene con particolare attenzione agli eventi di carattere sanitario, ma anche alle  abitudini di vita quali ad esempio l’abitudine al fumo, il tipo di alimentazione, i tipo di lavoro svolto ecc.. Il motivo che ha indotto il paziente a richiedere una consulenza  medica, cioè disturbi lamentati.
  • segue poi la parte della visita vera e propria  con la registrazione dei segni clinici riscontrati. Anche in questo caso si utilizzano le scale di valutazione internazionale. Una delle scale più usate è la UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale) composta da quattro parti conseguenziali che esplorano l’aspetto mentale e  l’umore, l’attività nella vita quotidiana, l’attività motoria prendendo in considerazione i vari seguenti segmenti corporei interessati e infine  le eventuali complicazioni motorie. L’utilizzo delle scale di valutazione permette di ottenere un punteggio numerico e quindi offre l’opportunità di confronti ripetuti nel tempo dello stesso paziente ottenendo informazioni sull’andamento nel tempo della malattia.

 

Abbiamo visto quali e quanti possono essere disturbi che inducono a recarsi dal medico. Il neurologo da parte sua ha a  disposizione alcuni fattori su cui può basare la diagnosi che sono:

  • Sintomi: almeno due dei sintomi primari sopradescritti di cui uno deve essere tremore o lentezza  dei movimenti, riscontrabili tramite un’accurata visita neurologica;
  • Una favorevole risposta alla terapia dopaminergica;
  • Test farmacologici utilizzando apomorfina (stimolante del recettore dopaminergico) oppure levodopa, che forniscono informazioni sulla funzionalità del recettore dopaminergico;
  • Esami strumentali quali  TAC  o Risonanza magnetica nucleare encefalica;
  • Esami di tipo funzionale sono gli studi PET  con vari traccianti per valutare la funzionalità recettoriale o l’attività dei nuclei della corteccia tramite studi sul flusso ematico e sui trasportatori di dopamina.


Terapia

Durante i primi anni di malattia il controllo farmacologico è pressoché totale, di conseguenza i sintomi della malattia sono scarsamente evidenziabili. Dopo un determinato numero di anni, molto variabile, nei pazienti e quindi difficilmente prevedibile nel singolo caso, il controllo si fa più precario e si impongono vari aggiustamenti terapeutici. Nel morbo  di Parkinson, dopo un periodo variabile tra i 5 e 10 anni, o anche di più, dall’introduzione in terapia della levodopa, si assiste ad una variazione delle caratteristiche della malattia. Inizialmente si osserva una riduzione in termini di tempo dell’efficacia del farmaco caratterizzata da una ripresa dei sintomi parkinsoniani man mano che ci si allontana dall’orario di assunzione del farmaco. Questo fenomeno viene detto con il termine angolosassone  “wearing-off” e si riferisce allo svanire nel tempo dell’efficacia del farmaco. Successivamente la risposta al farmaco si fa ancora più variabile e si instaurano delle prestazioni motorie più decise. Si evidenziano così periodi di scarsa risposta al farmaco, alternati a periodi  di buona efficacia.

All’inizio della malattia dosi eccessive di levodopa possono determinare discinesie mentre a dosi più contenute determina una buona risoluzione dei sintomi senza quest’effetto. Le teorie più recenti prevedono utilizzo precoce dei dopaminoagonisti e un’introduzione più tardiva della  levodopa. Vari presupposti teorici sono alla base di questo comportamento a cominciare dal fatto che queste molecole non hanno bisogno di trasformazione da parte dei neuroni della sostanza nera e quindi dovrebbero mantenersi efficaci anche in fasi più avanzate della malattia, quando le cellule nigrali sono molto ridotte. In secondo luogo mostrano un’emivita molto più lunga rispetto alla levodopa; infine non danno luogo a produzione di radicali liberi mostrando anzi in alcuni casi proprietà antiossidanti. Pazienti trattati dall’inizio con solo dopaminoagonisti mostrano ridotta incidenza di discinesie e fluttuazioni motorie.

Gli effetti antiparkinsoniani dei dopaminoagonisti tuttavia sono di solito minori rispetto alla levodopa e dopo 2-4 anni la loro efficacia si riduce. Quando diventa necessario un trattamento più incisivo si aggiungono basse dosi di levodopa. Una strategia alternativa è di combinare basse dosi di levodopa con un dopaminoagonista fin dall’inizio. Questa seconda strategia dà risultati  migliori. Inoltre alcuni ricercatori ritengono che i dopaminoagonisti possono svolgere un ruolo di neuroprotezione.

 

Ti potrebbero interessare:

Demenza: fattori di rischio

LEGGI ARTICOLO


 

Frutti di bosco contro il morbo di Parkinson 

LEGGI ARTICOLO


 

Uomo, Vecchio, Vista, Punto Interrogativo, Direzione

Morbo di Alzheimer 

LEGGI ARTICOLO


 

Agnonisti Dopamina

Dopaminergici – Farmaci Agonisti della Dopamina

LEGGI ARTICOLO



 

(Bibl. Guida alla malattia di Parkinson, G. Pezzoli, S. Tesei)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Enable Notifications OK No thanks
Verified by MonsterInsights